I sogni, i ricordi e i fili di Maria Lai
Omaggio alla donna e all'artista
che intreccia gli incontri e i silenzi
di Manuela Puddu
«Sognate sempre, perché a furia di sognare i sogni diventano realtà». Con questa frase Maria Lai si congeda dall'uditorio che l'ha seguita con attenzione per quasi un'ora, durante la manifestazione a lei dedicata in occasione della festa della donna a San Giovanni Suergiu. Una festa della donna in data un po' speciale, domenica 30 marzo, quasi ad affermare che le occasioni per ricordare le donne - tutte le donne, ma soprattutto quelle che hanno segnato la storia - non devono mancare durante tutto l'anno.
Le associazioni “Le mani amiche-ACLI” e “Suergiu-Uniti nella cultura”, dopo l'appuntamento che nel 2007 ha celebrato Maria Carta, si sono volute spendere quest'anno per organizzare un Omaggio a Maria Lai, l'artista di Ulassai che ha legato il suo nome e la sua produzione alla Sardegna e, recentemente, all'originale spazio espositivo della Stazione dell'arte, proprio ad Ulassai.
E l'omaggio è stato lungo ed intenso. Ha visto la partecipazione degli Actores Alidos, di Luigi Lai con le sue launedhas, a cui sono succeduti il coro polifonico “Musica e parole in libertà”, Tiziano Dessì con la Tribù Mediterranea, Giuseppe Corda e Roberta Massa, Riccardo Dessì e Stefano Ferrari che con chitarra e contrabbasso hanno sottolineato la lettura di una fiaba di Maria Lai da parte della calda voce di Maurizio Anichini.
La festa della donna, si diceva. Maria Lai, però, è un po' contraria ad un certo tipo di femminismo, come quello che celebra l'altra metà del cielo con esaltazioni iperboliche: quasi che alle donne, per recuperare il tempo perso da millenni, si debbano riconoscere tutte le qualità umane al massimo grado. Così quando Giacomo Mameli che la intervista, citando il proprio “Donne sarde”, afferma che l'operosità dei paesi sardi è per intero ed esclusivamente operosità al femminile, lei sbotta: «Basta con questo femminismo. Non esiste un essere umano se non è un concentrato di uomo, donna e divinità». È però vero, come ricorda il giornalista, che su 100 laureati sardi 73 sono donne, segno di una voglia di migliorarsi e di fare delle donne sarde che è frutto anche di tempi diversi, di maggiori possibilità. D'altro canto nessuno dei rettori delle università italiane, in cui un altissimo numero di docenti è di sesso femminile, è donna. La strada da percorrere è ancora lunga.
Ma l'intervista, intorno a cui si è sviluppato l'omaggio a Maria Lai, corre anche lungo altri binari, in particolare quelli della formazione dell'artista, con le grandi figure che le hanno dato qualcosa e che lei trasmette alle nuove generazioni. Salvatore Cambosu, per esempio, il grande autore di “Miele amaro”, le insegnò a leggere e a scrivere. Lei dice: «era un alieno», colui che le spalancò le porte dell'arte. «Non importa se non capisci, segui il ritmo» le ripeteva, insegnandole versi su versi della grande poesia italiana. E Maria, rifacendosi a lui, vorrebbe che la stessa frase fosse scritta fuori da ogni scuola, così che ai giovani si trasmettesse l'idea della fatica, della ripetizione, da cui solo può nascere il ritmo. «Non ci si improvvisa né poeti, né musicisti, né scultori… è tutto un gioco di grande rigore».
E solo se sin da piccoli i bambini ricevessero a scuola un'alfabetizzazione alle immagini, così come ricevono quella alle lettere ed ai numeri, potremmo pensare di far partecipare la gente comune, l'uomo della strada, alla grande mensa dell'arte, così come già le “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci suggerivano a Maria. Furono esse, per l'artista, la spinta per capire che il mondo stava cambiando e che l'arte doveva uscire dai musei ed incontrare l'uomo della strada.
Da questa necessità nascono le opere di Maria Lai, tutte le sue creazioni, ma in modo particolare quelle che più sono rimaste impresse nella memoria collettiva, i suoi fili, i suoi libri di trame che scrivono le storie e uniscono persone e personaggi, i fili che legano - e hanno legato materialmente in un'indimenticata performance - il paese di Ulassai alla montagna che gli dà vita. I fili di Maria sono una metafora grande e visibile, ma soprattutto leggibile da tutti, della voglia di dialogo che sola può far regnare la pace tra le genti.
Ma tra i grandi personaggi della sua formazione, Maria Lai menziona anche Giuseppe Dessì, suo celebre vicino di casa nel periodo in cui visse a Roma, e ricorda una delle grandi lezioni avute da lui. Paralizzato da un ictus, Dessì scriveva in quel periodo “Paese d'ombre” e voleva sempre che qualcuno leggesse le ultime pagine scritte perché - così diceva - le avrebbe capite meglio. E a Maria era stato affidato questo compito, che aveva cementato il legame fra i due e aveva portato lo scrittore a creare un personaggio - Valentina - che era una sorta di alter ego di Maria. «Valentina sei tu e mi aiuti a trovare riferimenti che mi aiutano a descrivere questo personaggio».
Così la piccola Valentina nasce, cresce, da giovane donna si innamora, si sposa e aspetta un figlio. Ma un giorno Dessì mandò a dire a Maria Lai che non voleva più vederla, senza una parola di spiegazione. Maria, dopo essersi arrovellata per capire il motivo di questo allontanamento, chiese con forza di potergli parlare e gli domandò che cosa gli avesse mai fatto. «Non tu, io ti ho fatto qualcosa che non ho il coraggio di dirti. Valentina è morta», rispose Dessì. L'artista rimase addolorata da questa svolta inaspettata, con questa scelta narrativa lo scrittore la stava estromettendo dalla sua vita, la stava mandando via. E qui lui le diede un insegnamento che giunge ancor oggi a noi. «Perché?», Maria chiese. «Perché il romanzo deve essere poetico e la poesia non nasce se non incontra la morte».
Gli incontri di Maria Lai, dunque, furono il lievito che permise al suo sentimento artistico di trovare compiuta espressione e di comunicare a noi oggi ciò che è giunto a lei da ieri. E proprio dagli incontri ha potuto cogliere il valore del silenzio. «Gli incontri col mondo, con gli altri sono importantissimi, ma guai se manca il silenzio, è come una musica dove manchino le pause». Proprio quel silenzio da cui raramente oggi le persone hanno la possibilità, anche quando la si cerchi, di lasciarsi avvolgere.
Silenzio è anche quello osservato, per un minuto, all'inizio della manifestazione, per ricordare Dina Dore, la donna e madre di Gavoi barbaramente uccisa pochi giorni fa. Senza il silenzio, non può esserci arte, quell'arte che per Maria Lai è il rapporto dell'uomo con l'infinito.
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